LA LITURGIA FONTE E CULMINE DI TUTTA L’AZIONE DELLA CHIESA

 

Testo di presentazione della Sacrosanctum Concilium (SC)

 

 

 

1. Un po’ di storia

 

 

 

La SC fu il primo documento promulgato dal concilio il 4-12-1963, esso aprì di fatto un epoca nuova in un campo così fondamentale per la vita della chiesa quale è la liturgia.

 

Questa ventata di rinnovamento era già stata preparata dal movimento liturgico nato agli inizi del XX secolo, periodo in cui la chiesa risentiva ancora di un certo immobilismo che in materia liturgica tendeva a tramandare in forma rigida una modalità rituale che si può far risalire addirittura al periodo post-tridentino.

 

Questi riti sembravano essere come inalterabili e tali da poter essere trasferiti senza troppi problemi ad ogni dove della chiesa, paesi di missione compresi.

 

E così la liturgia era diventata specchio di una difficoltà ben più radicale di rapporto tra la chiesa e il mondo moderno.

 

Già Rosmini segnalava come una delle cinque piaghe della santa chiesa (1831) il distacco del popolo dal clero e dalla liturgia.

 

Ed era proprio così, la lingua latina portava ad una partecipazione per forza di cose passiva e il fossato tra clero e popolo si allargava sempre più.

 

E così il popolo si rifaceva attraverso le devozioni popolari, più semplici e immediate.

 

Il movimento liturgico nasce in Belgio nel 1909 nel tentativo di porre rimedio ad una tale situazione e rapidamente si espande soprattutto in Francia, Germania, Italia.

 

Siamo tra l’altro in un periodo di notevole fermento in molti campi della teologia, dopo il fallimento della neo-scolastica e la crisi modernista, si assiste ad un ritorno alla centralità della Scrittura con lo sviluppo dei metodi esegetici, ad una rinnovata riflessione sulla chiesa, al ritorno allo studio dei Padri.

 

Questo movimento liturgico si fece carico di raccogliere le varie istanze che ormai venivano pressanti dal popolo di Dio e che trovarono poi risposta adeguata, appunto, nella SC.

 

 

 

2. Il concilio Vaticano II

 

 

 

Si pensò di mettere a tema la questione della liturgia perché sembrava più facile iniziare i lavori del concilio con argomenti pastorali e pratici, fu un documento che servì anche da rodaggio per gli altri.

 

I padri conciliari capirono che prima di tutto era necessario eliminare quel distacco deleterio tra la liturgia e il popolo cristiano per favorire una partecipazione attiva dei fedeli.

 

Si lavorò, in particolare, attorno a due piste: la questione della lingua e una migliore comprensione dei riti che poteva essere favorita dalla semplificazione di un cerimoniale barocco che ormai mal si adattava ai tempi, pur preservando il senso del maestoso e del solenne, ma a caro prezzo.

 

Il concilio parve subito il luogo adatto perché la chiesa tutta facesse proprie queste esigenze e le traducesse in un rinnovamento auspicato.

 

Questo intento di carattere pastorale, in un concilio che si è soliti definire pastorale, è chiarissimo nella SC:

 

 

 

“E’ ardente desiderio della Madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del battesimo” (n. 14).

 

 

 

“L’ordinamento dei testi e dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà, da essi significate, siano espresse più chiaramente, il popolo cristiano possa capirne il senso e possa parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria” (n. 21).

 

 

 

Solo a queste condizioni infatti, cioè grazie ad una reale e viva partecipazione, si può affermare che davvero la liturgia è fonte e culmine della vita della chiesa, secondo la celebre espressione di SC 10.

 

Essa è culmine perché la pastorale deve portare tutti a lodare Dio nella chiesa e a poter così ricevere da lui il dono della salvezza, soprattutto partecipando all’Eucaristia, ed è fonte perché precisamente da tale partecipazione il credente trova forza ed energia per vivere la sua testimonianza.

 

Tutto ciò non si realizza come in una formula magica dove tutto l’interesse è concentrato sulla corretta esecuzione di rito, parole e gesti, ma, piuttosto, grazie ad una attiva e adeguata partecipazione dei fedeli.

 

Per questo il concilio invita i pastori ad operare affinché “tutti i fedeli vi prendano parte consapevolmente, attivamente, fruttuosamente” (n. 11).

 

Il concilio con una certa radicalità ammette che ciò che in prima istanza rende problematica questa partecipazione dei fedeli è l’ignoranza su cosa realmente sia la liturgia per questo prima di tutto esso cerca in sintesi di esprimere, nella prima parte del documento, quale sia la natura della liturgia per poi passare ad affermare la necessità di alcune riforme che rendano accessibili a tutti le parole e i gesti che in essa vengono svolti.

 

 

 

3. Che cos’è la liturgia?

 

 

 

La liturgia è mistero e sacramento, cioè è una realtà sensibile attraverso la quale si comunica, si manifesta, viene resa attuale la realtà invisibile della salvezza.

 

In altri termini, si tratta di un insieme di gesti, segni, parole, riti che diventano strumento operativo attraverso il quale la salvezza di Gesù si comunica al singolo.

 

I passaggi sono questi:

 

  1. Dalla Pasqua di Gesù viene agli uomini la grazia che salva.

  2. Gesù vuole la chiesa quale segno visibile del realizzarsi di tale salvezza.

  3. La liturgia nella chiesa, attraverso i riti, principalmente i 7 sacramenti, fa sì che tutto ciò diventi operativo per il singolo.

  4. La risposta del fedele (il sì della fede e la coerenza delle opere) rende il tutto efficace (la liturgia non è magia!).

    Per questo Gesù ha inviato gli apostoli ad annunciare il vangelo e a battezzare, per questo lui ha scelto una modalità nuova di presenza nel tempo: attraverso la chiesa e i gesti che essa compie.

    Proprio uno dei punti principale e più efficaci della SC è costituito dal numero 7 dove si parla della presenza di Cristo nelle azioni liturgiche della chiesa.

    L’occhio della fede, in altre parole, sa leggere dietro i gesti di ogni liturgia la presenza di Cristo che li rende efficaci.

    Così il n. 7 della SC ci dice che Cristo è presente nell’assemblea liturgica, nella persona del ministro che la presiede, nella Parola che lì viene proclamata, nel segno della comunità riunita nel suo nome, nell’Eucaristia.

     

    4. La chiesa dà lode a Dio efficacemente perché  è corpo di Cristo

     

    Tale presenza ci dice anche che la liturgia prima ancora che azione della chiesa è azione di Cristo di cui del resto la chiesa, secondo la dottrina paolina, è il corpo mistico.

    Noi come chiesa ci uniamo a Cristo e come un sol corpo, capo e membra, offriamo la lode a Dio.

    Questa è la novità radicale che differenzia la liturgia cristiana dalla infinita varietà di esperienze di preghiera presente nelle varie forme ed espressioni della religiosità umana.

    La chiesa è così, se si passa l’espressione, un prolungamento dell’umanità di Gesù del tutto uguale alla nostra, benché essa sia glorificata ora dopo la resurrezione.

    Da qui il gradimento e la bontà della nostra preghiera, essa infatti giunge al Padre sempre mediata da Cristo e non solo come sforzo umano che, come tale, potrebbe essere sempre segnato da ambiguità ed imperfezioni.

    Conclude, infatti, la preghiera eucaristica la formula:

    ”Con Cristo, per Cristo e in Cristo, a Te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen”.

    Proprio per questo motivo ogni credente, secondo la teologia cristiana, ha la possibilità di un rapporto personale con il Signore senza la necessità di quelle formule e quei riti tipici della religiosità pagana.

    Non ne ha bisogno in quanto ogni credente, appartenendo alla chiesa, appartiene al corpo di Cristo, perciò l’azione sacerdotale, che è quella che per definizione consente l’incontro di umano e divino, è svolta propria da Cristo stesso e non necessita di figure altre intermedie, si pensi ad esempio agli stregoni, ai capi religiosi di ogni forma e foggia.

    È questa la radice della dottrina del sacerdozio comune dei fedeli che trova il suo esercizio più tipico nella preghiera personale e nella celebrazione liturgica.

    Il popolo di Dio è il soggetto della liturgia proprio in forza di questo sacerdozio comune dei fedeli, essa è opera del corpo mistico di Cristo di cui ognuno fa parte.

    Ecco i fondamenti per una ecclesiologia di comunione poi elaborata dalla LG.

    Se nel suo essere mediatore Cristo rende possibile tutto questo, cioè rende efficace il salire al cielo delle nostre invocazioni, nel suo essere mediatore Egli rende possibile anche l’effetto benefico discendente, cioè la grazia della salvezza che giunge in tal modo ad ogni uomo.

    Tutto questo assicura la forza e la centralità della liturgia per la vita del cristiano, ecco perché  la liturgia è dunque fons et culmen.

    Lo ripetiamo, è fonte perché senza di essa la chiesa non potrebbe ricevere l’intervento amoroso del Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo, ed è culmine perché la nostra vita stessa è tutto un rendere grazie a Dio per i doni ricevuti, un rendere grazie che precisamente si realizza, in forza di quell’azione ascendente di cui si è detto, grazie alla liturgia.

     

 

5. Il piano di salvezza si compie nell’azione liturgica

 

 

 

La SC ci apre anche ad un’altra prospettiva, ad un’altra considerazione di grande interesse.

 

La bibbia è il racconto degli interventi di Dio nella storia degli uomini.

 

Il tempo non è qui, come per il mondo greco, un eterno ripetersi senza futuro, ma è un procedere verso una meta che trova già una sua pienezza nel momento dell’incarnazione (“Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio” Gal 4,4).

 

Siamo così nel tempo dopo Cristo che è effettivamente tempo di pienezza, ma anche di completamento, epoca comunque nuova e in più definitiva, perché  noi non aspettiamo un’altra svolta, un’altra novità radicale che ci faccia entrare in una nuova epoca.

 

Ora, l’evento storico della vicenda di Cristo Gesù e la grazia che salva gli uomini che da esso scaturisce, continua ad esercitare storicamente il suo effetto grazie alla chiesa che lungo i secoli si fa non solo portatrice del messaggio mediante l’annuncio del vangelo, ma anche realizzazione operativa di tale evento, principalmente attraverso la celebrazione dei sacramenti.

 

Tutto ciò secondo il comando dato da Gesù agli apostoli di ammaestrare le nazioni e di battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. (cfr. Mt 28, 19-20).

 

È proprio questo riferimento al battesimo che fa dire a SC 6 che la liturgia attualizza nel tempo, rende cioè efficace qui e ora, un evento di salvezza che ha la sua origine storica 2000 anni fa.

 

Questo evento di salvezza è costituito, naturalmente, dalla Pasqua di Gesù, ma si allarga fino a comprendere tutta la vita del Signore, dall’incarnazione fino all’ascensione e poi alla Pentecoste.

 

Per questo la liturgia ha al suo cuore la Pasqua, di cui la domenica è sempre la versione settimanale, ma da essa si è allargata fino a comprendere tutti i momenti della vita di Gesù che vengono in tal modo richiamati ed attualizzati durante l’anno liturgico.

 

Questo rende possibile di fatto due cose la cui comprensione è decisiva per vivere bene la liturgia: la prima è che si abbatte la distanza temporale tra l’evento e il suo ripetersi nel rito.

 

La liturgia, infatti, non è un semplice ricordare un episodio antico, magari bello, come può essere festeggiare un compleanno, tanto meno un ripetersi all’infinito del gesto salvifico, come se fosse necessario un sacrificio di Gesù mai sufficiente e quindi tale da dover continuamente ritornare milioni e milioni di volte.

 

Come è noto già l’Antico Testamento aveva elaborato, in riferimento alla pasqua ebraica, la categoria teologica del memoriale (ebr. zikkaron) che spiegava questa particolarissima forma di contemporaneità resa possibile dalla celebrazione grazia alla quale dunque, ogni uomo di ogni tempo è come raggiunto dall’evento e di esso si sente protagonista.

 

Testimonianza di ciò sono proprio le formule liturgiche per cui, ad esempio, a Natale si dice: “Oggi Cristo è nato”, a Pasqua “Questa è la notte in cui Cristo è risorto”, “Questo è il giorno che ha fatto il Signore”, all’Ascensione: “Oggi Cristo ascende al cielo”, a Pentecoste: “Oggi si compie la Pentecoste” etc.

 

Ora a me è chiesto il sì della fede, a me, “discepolo di seconda mano” (Kierkegaard)

 

La seconda cosa che emerge è che allora ad ogni celebrazione è come se la storia della salvezza avesse per me, ora, il suo completarsi nella liturgia che perciò ha un ruolo attivo e centrale, non accessorio nella vita del credente.

 

Se ciò è vero, ne consegue che è questa la modalità fondamentale attraverso la quale la chiesa porta a compimento la sua missione: offrire a tutti gli uomini la possibilità dell’incontro trasformante e rigenerante con Cristo risorto.

 

Perciò SC 10 ci dice, detto in altri termini, che la liturgia è il culmine dell’agire della chiesa, ciò per cui essa è stata voluta e pensata da Gesù.

 

Ma, ancora, poiché la chiesa trova la forza e la capacità di portare a termine questa opera immensa, si pensi solo alla necessità dello sforzo missionario, dalla grazia di Dio che le è stata promessa fin dalle sue origini, ne consegue che la liturgia, datrice di grazia sia anche da considerarsi fonte imprescindibile per l’esistenza stessa della chiesa.

 

 

 

6. Per una partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia

 

 

 

Precisamente a partire da queste consapevolezze SC passa poi ad indicare alcune norme pratiche per favorire un rinnovamento liturgico che renda possibile una partecipazione attiva e consapevole di tutti i fedeli alla liturgia.

 

L’aspetto di novità è una sorta di decentramento dell’autorità che consente ai vescovi locali, alle conferenze episcopali nazionali, di pensare il progetto di rinnovamento più adatto alla propria realtà nazionale.

 

Fu dato alle conferenze episcopali il compito di stabilire l’adozione della lingua volgare (così anche per la comunione sotto le due specie e per la concelebrazione), si diede così una autonomia rispetto al verticismo romano, ciò aprì la strada a successivi sviluppi nel campo della ecclesiologia.

 

Soprattutto, sia pure con una certa fatica, si è poi intesa la liturgia come necessariamente legata, nelle sue espressioni visibili, alla cultura dell’uomo, da qui una necessaria varietà, pur nell’unità del mistero da celebrare.

 

L’invito ad adattare la liturgia alle tradizioni e culture dei popoli è poi un forte richiamo alla dimensione missionaria della chiesa: l’incarnazione è la legge dell’evangelizzazione.

 

E così si parla di tradizione, ma anche di progresso in quanto la liturgia è un qualcosa di vivo.

 

Si raccomanda un maggiore presenza della Scrittura che è la narrazione di quanto la liturgia realizza ed inoltre viene annunciata la necessaria riforma di tutti i libri liturgici.

 

Una attenzione particolare viene poi riservata al carattere comunitario della liturgia in quanto azione ecclesiale.

 

Si preferisca perciò sempre una forma di celebrazione di questo tipo, specialmente per la messa e i sacramenti (n. 27) e ciò avviene nella misura migliore quanto più in essa vi è una partecipazione attiva di tutti, ciascuno per il ruolo che gli è proprio.

 

Se nella liturgia Dio parla al suo popolo, allora essa ha anche infine un aspetto didattico ed educativo, fonte di istruzione, perciò i riti devono essere semplici e chiari (n. 34), la scelta delle letture dovrà essere più abbondante e si concede la possibilità dell’uso delle lingua nazionali.

 

Si esplicita la non necessità dell’uniformità liturgica che era stata invece affermata dopo il concilio di Trento (n. 37-38).

 

Una attenzione particolare viene riservata dal documento alla celebrazione dell’Eucaristia con indicazioni che aiutino ad una partecipazione attiva e responsabile (nn. 48.50-57), si concede la concelebrazione, prima riservata solo alle ordinazioni.

 

 

 

7. Dalla teoria alla prassi, quali risultati?

 

 

 

L’auspicata riforma liturgica di SC si è realizzata nel giro di alcuni anni, si è trattato di un opera di rinnovamento grandiosa che in qualche modo ha cambiato il volto della chiesa, di ciò va dato atto.

 

7 marzo 1965 prima messa in italiano, via via in successione la riforma dei riti, soprattutto negli anni ’70, del 1992 è il benedizionale, da poco il rito per gli esorcismi.

 

Fece seguito alla SC la riforma liturgica (Lercaro, Bugnini) con la pubblicazione in dieci anni in latino dei libri liturgici (messale romano, lezionario triennale, liturgia delle ore etc.) la cui traduzione era affidata alla conferenze episcopali locali (con problemi nel passare da un linguaggio astratto e formale a quello concreto e semplice di molte popolazioni).

 

La riforma ricercava un equilibrio tra la sana tradizione e un legittimo progresso, si doveva andare oltre un rubricismo minuzioso, quasi magico, da seguire.

 

Non si trattava però solo di adattare meglio i riti, renderli più comprensibili, più vari, meno ampollosi etc.

 

La riforma liturgica prevedeva un radicale cambiamento di mentalità, ben più difficile da realizzarsi, data la pressante necessità di una più ampia formazione e informazione sia per il clero che per il popolo.

 

Tutto ciò non si può realizzare in poco tempo!

 

E così gli esordi di questo lavoro sono stati più felici ed entusiasmanti degli esiti.

 

Sotto questo profilo si deve registrare, infatti, una certa delusione, alle buone intenzione non è seguita un adeguato impegno e sembra ancora necessaria ed urgente un opera di formazione.

 

Uno dei punti di maggior rilievo consisteva nella partecipazione attiva dei fedeli alla Eucaristia, a volte essa sembra invece ancora relegata ad un fatto quasi privato del sacerdote cui il fedele assiste passivamente, per non dire annoiatamente.

 

È esemplare, in questo senso, anche la semplice difficoltà di trovare collaboratori laici che svolgano il ruolo loro proprio: servizio all’altare, letture, animazione del canto, offertorio, etc.

 

Il senso di comunità e di festa che il cantare insieme dovrebbe contribuire a realizzare si scontra con un diffuso disagio e una scarsa partecipazione che intristisce nonostante i lodevoli tentativi di animazione ed accompagnamento.

 

Stiamo ancora pagando, mi sembra, il prezzo di una scarsa formazione data al popolo cristiano e correndo il rischio di una pratica liturgica distaccata e poco incisiva, non coinvolgente e quasi magica.

 

Si è ancora legati ad un eccessivo individualismo che fa della celebrazione un fatto più privato che di comunità, dunque da vivere passivamente, non con gli altri e per gli altri, si pensi, ad esempio, alla questione del luogo della celebrazione dei sacramenti.

 

Perciò nonostante una partecipazione comunque migliorata e più consapevole rispetto alle celebrazioni pre-conciliari, sembra evidente il cammino che ancora resta da fare.

 

 

 

8. L’invito dei vescovi

 

 

 

I nostri vescovi, nelle indicazioni pastorali per il primo decennio del duemila (Comunicare il vangelo in un mondo che cambia) sottolineano la centralità della domenica e dunque dell’Eucaristia per la comunità cristiana, lì si manifesta la chiesa nella sua realtà più profonda.

 

I vescovi affermano perciò l’assoluta necessità dell’approfondimento del senso della festa e della liturgia.

 

Si comunica oggi il vangelo anche aiutando a comprendere il senso e la centralità della liturgia.

 

Per i vescovi il problema oggi non è più costituito dalla riforma liturgica, ormai completata formalmente, bensì dalla trasmissione del vero senso della liturgia cristiana.

 

Si constata, prosegue il documento, stanchezza e la tentazione di tornare a vecchi formalismi o di tentare vie spettacolari, due estremi, francamente, da evitare.

 

Si rilanci invece la liturgia come il luogo in cui la fede dei credenti viene educata, del resto per molti cristiani la messa è l’unico momento religioso della settimana.

 

 

 

9. Conclusione

 

 

 

Fonte e culmine è la liturgia, dunque.

 

Come si vede un qualcosa di grande e di centrale che giustifica secoli di arte, di studio, di riflessione.

 

Architettura, letteratura, pittura, musica, tutti i migliori geni dell’umanità convocati come per rendere possibile tutto ciò.

 

E tuttavia un qualcosa che nella sua maestosità si realizza sempre, comunque e allo stesso modo in ogni parte della terra e ad ogni condizione, compresa le semplicità della piccola e povera chiesetta in qualche sperduto luogo di missione.

 

Soprattutto infine un qualcosa di straordinario che ci riguarda davvero da vicino, che ci vede tutti protagonisti, sia pure con ruoli diversi, un dono di cui nella vita di ogni giorno e nella concretezza di ogni momento siamo chiamati poi ad essere degni.